È Danilo Ruggero il vincitore del Premio della Critica alla XXI edizione del Festival Voci per la Libertà – Una Canzone per Amnesty. Si racconta per noi in questa bellissima intervista.
BIO DI DANILO RUGGERO
Danilo Ruggero, classe ’91, è nato e cresciuto a Pantelleria ma vive a Roma da 5 anni. Inizia a scrivere poesie all’età di 12 anni.
Arrivato a Roma, dopo la maturità, inizia a sperimentarsi live nei piccoli locali della capitale e nel 2015 avvia un’importante collaborazione artistica con il produttore e sound engineer Marco Lecci.
Sempre nel 2015, viene selezionato tra gli studenti di Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini, percorso di alta formazione creato dalla Regione Lazio per giovani artisti.
Nel 2016 raggiunge le semifinali del “Premio Bertoli” e si fa notare in tante altrepiccole rassegne, vincendo alcuni concorsi locali come ad esempio “L’AltroquandoFolkstudio” di Gianni Togni.
Nel 2017 partecipa anche al laboratorio “Impara a Nuotare” organizzato da Tutto Lascia Traccia e coordinato dal cantautore Filippo Gatti, con docenti d’eccezione come Francesco Bianconi, Riccardo Sinigallia, Francesco Motta, Francesco Di Bella e Giorgio Canali ed attualmente è tra i finalisti del Premio Fabrizio De André 2017.
Pubblica il 9 aprile 2018 il suo primo disco, totalmente autoprodotto, dal titolo “In realtà è solo paura” e vince il Roccalling Festival a luglio 2018.
Vince il Premio della Critica alla XXI Edizione del Festival Voci per la Libertà – Una canzone per Amnesty a Rosolina Mare.
L’INTERVISTA
Com’è stata la tua esperienza al Festival? Come mai hai scelto di parteciparvi e quali erano le tue aspettative?
È una cosa su cui ci siamo confrontati ed abbiamo parlato molto io e miei musicisti – euforici già il giorno stesso della prima esibizione a Rosolina. Per cui parlerò anche un po’ a nome loro quando dico che è stato il palco più bello ed accogliente calcato insieme fino ad ora. È stata una delle esperienze che ci ha fomentati, ed allo stesso tempo temprati, più di qualsiasi altra. Mi ero iscritto al concorso perché sono uno di quelli, ormai fuori moda, che crede ancora che scrivere canzoni significhi portare un messaggio. Che poi questo messaggio non debba essere necessariamente un messaggio di solidarietà va benissimo. Quanto meno però, credo che sia un dovere di chi fa musica, fare in modo che le canzoni diventino un “veicolo” per qualcosa. Siamo tartassati ormai da tanta musica “vuota” ed oggi purtroppo è ogni giorno sempre più facile che una canzone “pensante” diventi immediatamente impopolare. Fortunatamente ci sono alcune realtà, come per esempio voi, di Voci per libertà, che credono ancora nella potenza di un messaggio e delle parole. Io mi sono iscritto senza alcuna aspettativa. Volevo solo per l’appunto veicolare qualcosa.
Cosa vuol dire per te avere vinto il Premio della Critica?
Vuol dire che quel “qualcosa”, quel messaggio forse è arrivato. Vuol dire avere avuto un riconoscimento tecnico importante che ha più valore di qualsiasi altro premio vinto sinora perché è stato ricevuto credo anche sulla base del messaggio e del tema che portavo con la mia canzone. Per cui ne vado molto fiero.
Come i vincitori del Festival e i vincitori del Premio della giuria popolare, anche il tuo brano parla di un viaggio della speranza, fatto dai migranti per approdare in una terra che possa dar loro un futuro migliore. Perché, secondo te, è un tema così sentito?
Il tema del viaggio, delle nuove speranze è sempre stato molto sentito da chi fa musica o arte in generale. Ma oggi ancora di più. Perché i media ci bombardano di informazioni random sul tema dell’immigrazione. Per lo più informazioni poco corrette o fallaci ma comunque input che accendono uno strano sentimento, che preoccupa, perplime. In una Italia da sempre spaccata su quest’argomento, adesso più che mai, cerca conforto e confronto e vuole risposte. È un argomento sentito forse perché si ha paura, sempre di più. La gente teme l’insicurezza che è alimentata dalla paura, dall’incertezza. Paura a sua volta indotta da chi, con una felpa e un ghigno arrogante, ama utilizzare slogan da propaganda politica becera per un pugno di consensi. Molto probabilmente, più l’uomo diventerà disinformato e vuoto più il tema dell’immigrazione spaccherà per sempre l’etica umana in due.
Secondo te, la musica e l’arte in generale, sono un mezzo efficacie per sensibilizzare sui diritti umani?
Come ho già descritto su in breve, la musica deve essere a mio parere un veicolo e trasportare dei messaggi, punti di vista e sguardi diversi sulla realtà circostante. Cosa c’è di più efficace della sensibilità di un artista per descrivere sfaccettature del mondo che non stanno in superficie? Se un’opera non contiene un messaggio perde di senso. Se non veicola nulla, che è nata a fare? Per pura estetica? Credo che l’arte serva per smuovere le coscienze, far riflettere, pensare, pesare. Per cui sì, la musica è uno dei mezzi più efficaci per sensibilizzare sui diritti umani. Ne sono convinto.
Da dove provengono le tue influenze musicali? Com’è la realtà musicale della tua zona?
Io sono nato con i cantautori degli anni 60/70/80. Provengo da quegli ascolti lì. Mia madre da piccolo mi faceva ascoltare le musicassette di Battisti, Dalla, De Gregori, De Andrè, Fossati, Guccini. Ecco perché forse do così tanto peso alle parole nelle mie canzoni. Perché sono sempre stato propenso all’ascolto di un tipo di musica e di artisti che alle parole davano una certa rilevanza. Dalle mie parti, ovvero a Pantelleria, ovviamente non vi è una vera e propria realtà musicale. A dire il vero, per essere un’isola, grazie forse anche all’unica scuola di musica ormai attiva da anni, ci sono molti musicisti e molte persone appassionate di musica. Ma cantautori siamo due o tre per cui parlare di realtà, potrebbe essere pretenzioso. Durante l’inverno però vivo la maggior parte del tempo a Roma per lavoro e lì il sottobosco è ricco e brulica da un po’. Credo che sia una delle città che, sotto il punto di vista cantautorale, detiene la scena e la realtà musicale più importante a livello nazionale. Anche perché Roma è una culla dove più o meno chiunque prima o poi, per iniziare o per proseguire al meglio, ci passa e ci vive per un po’. È la casa adottiva di moltissimi musicisti provenienti da chissà dove.
Anche tu come Carlo Valente (vincitore del festival nel 2017) provieni dal percorso dell’Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini, è stata un’esperienza positiva? Ci racconti qualcosa?
Officina Pasolini per me è stata l’inizio di tutto. Un posto, per il primo periodo, forse un po’ controverso, perché mi sentivo emotivamente provato ed “azzerato”. Ad Officina ho premuto il tasto “Erase” ed ho riscritto tutta la mia storia ed il mio percorso. Ha spazzato tutte le certezze che avevo e mi sono messo umilmente in un angolo ad ascoltare. Avevo capito che lì dovevo solo ascoltare. Provavo molta invidia per gli allora studenti della Pasolini, ormai adesso amici importanti. Ma era un’invidia buona. Quella che ti portava a chiederti: “perché loro sono così bravi?” – “come è arrivato lui a scrivere così?”. Ecco che mi davo da fare il triplo per raggiungere livelli per me prima invisibili. Da lì ciò che mi porto dietro sono comunque le collaborazioni, i legami ed i rapporti umani con musicisti e persone incredibili.
Hai pubblicato proprio quest’anno il tuo primo disco autoprodotto. Quali sono i prossimi progetti in serbo?
Per adesso voglio suonare fino ad esaurimento scorte. Portare in giro questo EP ancora per un po’. Intanto sto lavorando ai nuovi brani per il disco con i miei musicisti così quando sarà il momento giusto non sarò impreparato.
AGGHIRI DDRÀ
(tratto dall’Ep d’esordio “In realtà è solo paura”)
Cunta favole a tutti i figghie
pi sarlvalli di stu munno
ma ‘un cuntare mae minzogne:
l’omo niviro ‘un né dintra l’armadio.
E ‘un tà scantare – E ‘un tà scantare
Cunta puro ch’era in viagghio
e ora dorme nfunno u mari.
Nente pisci cu a risacca e supra i scogghi
sulo sogni stinnigghiate.
E ‘un tà scantare – E ‘un tà scantare
“ Amunì core meo … mi dune na spinciuta?
C’haio a rrivare cu i pede nterra
puru si u tempo è ngangaruso.
Su cchiù cunfuso chi pirsuaso
e giusto giusto che ora rrivà,
stannu dicennu, iccannu vuci,
chi m’haio anniri agghiri ddrá ”
E ‘un tà scantare – E ‘un tà scantare
Cunta puro, comu tutte,
ch’un c’è travagghio e mancu spazio.
Ma ha cuntare fino a dece
Pi pinsare a soccu dice
(Uno, due, tri […] dece … )
E ‘un tà scantare – E ‘un tà scantare
“ Amunì core meo … mi dune na spinciuta?
C’haio a rrivare cu i pede nterra
puru si u tempo è ngangaruso.
Su cchiù cunfuso chi pirsuaso
e giusto giusto che ora rrivà,
stannu dicennu, iccannu vuci,
chi m’haio anniri agghiri ddrá ”
E ‘un n’hannu cchiù l’occhi pi chiancere
TRADUZIONE
Racconta favole a tutti i tuoi figli
per salvarli/proteggerli da questo mondo
ma non raccontargli mai bugie:
l’uomo nero non vive dentro l’armadio.
“E non ti devi spaventare – Non ti devi spaventare”
Raccontagli pure ch’era in viaggio
E ora dorme nel fondo del mare.
Non ci sono pesci quando c’è la risacca
e sopra gli scogli [restano] solo sogni distesi/coricati/abbattuti.
“E non ti devi spaventare – Non ti devi spaventare”
“Andiamo cuore mio … me la daresti una spinta?
Che devo arrivare con i piedi sulla terra ferma
anche se il tempo [oggi] è dispettoso.
Sono più confuso che deciso
e, giusto giusto adesso, che sono a
ppena arrivato, già mi stanno dicendo, gridando [con tutta la loro voce],
che me ne devo andare/che devo sparire – verso là.
“Ma non ti devi spaventare – Non ti devi spaventare”
Racconta anche, come tutti,
che non c’è lavoro e neanche spazio.
Ma devi contare anche fino a dieci
per pensare a cosa stai dicendo …
(Uno, due, tre […] dieci …)
“Ma non ti devi spaventare – Non ti devi spaventare”
“Andiamo cuore mio … me la daresti una spinta?
Che devo arrivare con i piedi sulla terra ferma
anche se il tempo [oggi] è dispettoso.
Sono più confuso che deciso
e, giusto giusto adesso, che sono
appena arrivato già mi stanno dicendo, gridando [con tutta la loro voce],
che me ne devo andare/che devo sparire – verso là.
E non hanno più neppure gli occhi per piangere
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