Vincitore del Premio Giuria Popolare della XXI Edizione del Festival Voci per la Libertà – Una Canzone per Amnesty è il gruppo La Malaleche. Si raccontano per noi in questa bella intervista.
BIO LA MALALECHE
La Malaleche nasce nel 2015 dall’unione di tre musicisti dalle diverse provenienze musicali: una patchanka di suoni e di generi che fonde folk e ragga, passando per la rumba e il rock ‘n’ roll.
A marzo 2017 esce “Mala Calle”, prima autoproduzione del trio patchanka con 6 brani originali. Nello stesso mese c’è la partecipazione all’esperienza de Il treno della memoria con oltre 500 ragazzi italiani: questi sono coinvolti attraverso laboratori musicali sulla resistenza e un concerto a Cracovia, a seguito della visita ai campi di Auschwitz e Birkenau. Da questa esperienza nasce il videoreportage “Memoria Viva”, sulle note del brano omonimo.
L’impegno del trio a non dimenticare gli orrori del nazifascismo continua con l’inaugurazione del Bosco della memoria di Monza, nel gennaio 2018; in seguito la band collabora con ISREC, l’Istituto Bergamasco per la Storia della Resistenza e Dell’Età Contemporanea, prima nei Dialoghi intorno a Delbo a Bergamo, poi, nelle Journées Charlotte Delbocon un concerto a Parigi nel maggio 2018.
A giugno 2018 si esibiscono sul Palco senza barriere, un progetto in collaborazione con la ONLUS Associazione Stefania: i brani de La Malaleche vengono riarrangiati ed eseguiti insieme a un’orchestra di dieci artisti con diverse abilità cognitive e motorie, grazie alla strumentazione soundbeam. Dal percorso, durato 6 mesi, nasce l’inedito “La differenza non è una sottrazione”.
Ad agosto 2018, dopo un tour in Salento, il trio vive l’esperienza di suonare per i migranti nel ghetto dei braccianti nelle campagne foggiane.
In tre anni, La Malaleche si è esibita in oltre 100 concerti, aprendo gruppi quali Modena City Ramblers, Bandabardò, I Luf e Punkreas. Hanno partecipato alla prima edizione della Giornata dell’orgoglio migrante e antirazzista a Pontida, il 22 aprile 2017, e a diversi festival estivi.
Vincono il Premio Giuria Popolare alla XXI edizione del Festival Voci per la Libertà – Una canzone per Amnesty a Rosolina Mare.
L’INTERVISTA
Come mai avete scelto di partecipare al nostro Festival? Vi va di raccontarci la vostra esperienza a Rosolina Mare? Quali erano le vostre aspettative?
Ci ha attratto l’idea di una “gara” tra canzoni che richiamassero alla Dichiarazione universale dei diritti umani. Una grande sfida che noi, in genere lontani dalle logiche dei concorsi musicali tradizionali, abbiamo voluto vivere certi che fosse qualcosa di particolare. E così è stato.
Abbiamo partecipato con “Siamo migranti”, brano che nasce dal libro Libertà di Migrare, scritto da Valerio Calzolaio e Telmo Pievani, e che offre uno sguardo diverso ai flussi migratori di questi ultimi tempi: oggi li consideriamo un’emergenza, un fenomeno eccezionale, quando quello dell’Uomo è un cammino che dura da migliaia di anni. Verità inscritta nel nostro DNA.
Pochi giorni fa ci ha lasciato uno dei più grandi genetisti al mondo, Luigi Luca Cavalli-Sforza. Fu tra i primi a scoprire che Homo sapiens, cioè noi, ebbe unica genesi in Africa; inoltre, attraverso i “segni” del DNA, individuò le tracce di una serie di ondate migratorie che dalla culla africana hanno portato l’umanità a colonizzare tutto il mondo e a differenziarsi. In poche parole, migrare sembrerebbe più la regola che non l’eccezione nella storia umana.
Si intuisce, dunque, come i muri, le frontiere spinate, gli eserciti schierati e i porti chiusi dei nostri tempi siano solo palliativi destinati a crollare davanti a un fenomeno inarrestabile: lo spostarsi degli uomini.
Anche perché la libertà di movimento non è da contrapporre al diritto di stanziare. Questi sono elementi continui, posti l’uno a fianco dell’altro anche dall’articolo 13 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza”. Chi d’altronde non si è mai fermato per piccole soste durante un lungo viaggio?
Detto questo, per noi è stato un onore salire sul palco di “Voci per la libertà-Una canzone per Amnesty”, e portare questo messaggio. In sintonia con lo spirito del Festival, abbiamo voluto vivere questa esperienza senza alcuna competizione, ma felici di esser lì, con la voglia di suonare e godersi la bella atmosfera creatasi: entrare in contatto e confrontarsi con altri grandi artisti, giovani o affermati che siano, è stato il vero premio che abbiamo portato a casa, oltre ovviamente a molte e preziose nuove amicizie. Una delle scene a noi più care è l’abbraccio stretto con gli altri gruppi subito dopo aver scoperto di esser i vincitori del Premio Giuria Popolare e ancor prima di ritirarlo. Gesto che riassume la grandissima esperienza umana vissuta e condivisa da tutti sul palco di Rosolina Mare.
Quali sono le vostre influenze musicali? Cosa contraddistingue la vostra musica?
Veniamo da tre mondi musicali diversi che più di tre anni fa, quasi per gioco, abbiamo voluto unire: siamo cresciuti individualmente con la musica reggae, il folk tradizionale e lo ska-punk. Stili che abbiamo cercato di mischiare e restituire nelle nostre canzoni, unendo i nostri strumenti acustici. Sinceramente, durante le prime prove svolte nella palestra popolare del centro sociale Boccaccio di Monza, non tutto è emerso come semplice e fluido fin da subito. Ma la nostra fortuna, oltre alla grande spontaneità scoperta tra noi, è stata proprio dover sviluppare una sonorità che non fosse data per scontata, già impacchettata: abbiamo intravisto la possibilità di creare un nostro stile. La Mano Negra a suo tempo riuscì perfettamente in questo tipo di impresa e probabilmente possiamo considerare la band di “Mala Vida” il miglior punto di intersezione tra le nostre influenze musicali.
Le caratteristiche della nostra musica? Chi ci ascolta dal vivo apprezza la nostra grinta, data dai ritmi incalzanti, e la voce femminile, dolce e potente allo stesso tempo. Ma impulsivamente a noi vengono in mente tre elementi portanti: contaminazione, impegno civile, che per noi si traduce in tolleranza e antifascismo, e la voglia di far pensare. Questo ultimo è forse il carattere veramente distintivo del nostro progetto.
Siete i vincitori del Premio Giuria Popolare. Il pubblico ha votato proprio voi! Che significa per voi ricevere questo riconoscimento?
Si suona per il pubblico, quindi non possiamo che esserne lusingati. Questo Premio è un segnale importante soprattutto se pensiamo all’ultimo dei binari fondanti di questo progetto, di cui abbiamo appena parlato: La Malaleche vuole far pensare, coinvolgere chi ci ascolta. Questo per noi si traduce nel coniugare musica e ritmi che facciano ballare con testi legati a tematiche importanti. Cerchiamo di “intrattenere” musicalmente il pubblico, fare festa, ma allo stesso tempo parlare, comunicare con esso attraverso le parole e lasciare che queste non si perdano nell’aria.
Torna alle nostre menti un ricordo: in uno dei nostri concerti estivi, dopo aver parlato di lotta alla mafia, di tolleranza, di migrazioni e di memoria storica per non dimenticare l’olocausto, un signore del pubblico si avvicina e ci chiede in tono critico: “come fate a spiegare queste cose ai bambini?”. La sua domanda racchiude due grandi problemi: uno artistico, che sta quindi sopra il palco, ossia gli artisti parlano sempre meno col pubblico, adulto o bambino che sia; l’altro sociale, sotto il palco e molto più importante, ovvero stiamo perdendo gli strumenti per confrontarci sulle problematiche che realmente dovrebbe interessarci, e perdendoli non siamo in grado di tramandarli alle nuove generazioni.
Sia chiaro, noi cerchiamo semplicemente di essere schietti e spontanei, quindi di dire la nostra, senza mai cadere nella inutile pontificazione.
Insomma, speriamo che tutto ciò sia arrivato al pubblico e che esso ci abbia premiato proprio per questo.
Secondo voi, la musica e l’arte in generale possono realmente sensibilizzare sulla questione dei diritti umani?
Non abbiamo risposte certe, ma la nostra speranza è che possa esser così.
Noi crediamo che sia possibile parlare di diritti umani anche solo facendo arte, schiudendo le sensibilità e lasciando spazio alla bellezza fine a se stessa. Peppino Impastato parlava di educare la gente alla bellezza, alla curiosità e allo stupore, come antidoto alla rassegnazione e all’ignoranza. Noi tre, che ci riteniamo più artigiani della musica che artisti, cerchiamo di fare del nostro meglio per creare qualcosa che si avvicini anche lontanamente a qualcosa di bello, o di coinvolgente, per usarlo come esca per trasmettere i nostri messaggi. Sicuramente vale la pena provarci.
Certo, se la produzione di musica e di arte non punta a solleticare l’intelletto e a porre domande, allora siamo davanti a dei semplici prodotti più che a delle opere. Insomma, rimane sempre un altro grande quesito a cui dover rispondere: “quale deve esser il ruolo della musica e dell’arte?”
Il vostro progetto “Palco senza barriere” è un esempio di come si può lavorare sui diritti umani anche e soprattutto nel quotidiano. Raccontateci questa bellissima esperienza.
È un progetto che abbiamo ideato e vissuto insieme a dieci ragazzi e ragazze diversamente abili da un punto di vista motorio e cognitivo. Abbiamo scoperto che all’interno di Associazione Stefania, ONLUS di Lissone e partner del progetto, da anni si svolgeva un laboratorio musicale utilizzando una strumentazione particolare chiamata soundbeam. Quindi si è accesa una lampadina, oggi viva più che mai: abbiamo voluto sognare, così come ci ha insegnato il grande educatore Danilo Dolci, che queste persone potessero diventare artisti, salire su un palco e offrire alla cittadinanza un vero spettacolo musicale di alta qualità artistica. Insomma, portarli dal margine della società al centro della piazza.
E il sogno ha iniziato a costruirsi: nei primi sei mesi del 2018 abbiamo riarrangiato e provato insieme a loro alcuni nostri brani in vista del concerto finale, tenutosi poi a metà giugno. Un successo artistico ed emotivo, condiviso con gli artisti di “Palco senza barriere” e con il pubblico. Un’esperienza in cui sono state messe in dubbio intere categorie con le quali tradizionalmente si vive la quotidianità, ma anche il mondo musicale: abbiamo fatto emergere l’essenza artistica e la capacità interpretativa di persone che fino ad allora erano percepite come “disabili”, persone affette da deficit, tutt’altro che veri artisti. E vi assicuriamo che lo sono!
Dal percorso è nato un inedito “La differenza non è una sottrazione”, oggi fruibile sul web come video live dal concerto finale. Il brano racchiude il senso del progetto: se la diversità degli uomini non è percepita come deficit o una mancanza, ma come ricchezza, allora è proprio nella relazione tra diversità umane che può nascere qualcosa di più. Ma sta a noi porci con lo sguardo giusto nei confronti di chi ci è diverso.
Quali progetti futuri avete in serbo?
Continuare a percorrere più binari possibili. Questa è la strada che vediamo da sempre davanti a noi. Abbiamo già pronte nuove canzoni e presto torneremo in studio per il nostro prossimo CD, anch’esso autoprodotto, che uscirà nei primi mesi del 2019.
Vogliamo portare avanti l’esperienza di “Palco senza barriere”, cercando di farla conoscere il più possibile in giro e capire come possa svilupparsi lo spettacolo.
Il clima di intolleranza, purtroppo sempre più palese, ci spinge a non voler in nessun modo abbandonare il lavoro svolto fin qui con l’Istituto per la Resistenza di Bergamo.
Il nostro obiettivo sarà comunque sempre tenere salde musica, cultura e lotta alla discriminazione. Nel cassetto poi i sogni sono tanti, ma ne riparleremo. L’importante è continuare a suonare!
SIAMO MIGRANTI
(tratto dall’Ep d’esordio “Mala Calle”)
Siamo da sempre una specie migrante,
siamo migranti tutti migranti,
senza radici con piedi e con gambe,
andiamo avanti guardiamo avanti.
Da sempre una specie migrante,
siamo invadenti sempre più avanti,
in Europa, in Australia e sulle Ande
ma giunti tutti dall’Africa.
Il vento che trova uno spazio vuoto
si spinge a riempirlo con il suo moto,
l’Uomo si insinua in ogni dove
per necessità si alza e si muove.
Il vino si adatta ai bordi di una botte,
l’Uomo si evolve nei luoghi in cui irrompe,
si allunga, si accorcia, si copre o si spoglia,
prende la forma dello spazio che affronta.
È innaturale questa privazione,
confini metallici di una nazione,
la mortificazione di ogni movimento,
essere sospesi nello spazio e nel tempo.
Siamo da sempre una specie migrante,
siamo migranti tutti migranti,
senza radici con piedi e con gambe,
andiamo avanti guardiamo avanti.
Da sempre una specie migrante,
siamo invadenti sempre più avanti,
in Europa, in Australia e sulle Ande
ma giunti tutti dall’Africa.
E non ci bastano frasi di circostanza,
vogliamo stringerci alla vostra danza.
Quello che amiamo è più che mai lontano,
l’orizzonte ha la nostra vita in mano.
Sopravvivenza non vizio, solonecessità,
schiavi senza catene dell’astuta civiltà.
Le onde, il vento nero, i pianti nella notte,
il gelo che ti penetra dentro alle scarpe rotte.
E se dobbiam morire, meglio una volta in mare
che ogni giorno nel paese che dobbiamoabbandonare.
È solo geografia, questa la nostra colpa,
ogni cosa a voi scontata, a noi è stata tolta.
Il cuore nel passato, lo sguardo più lontano,
essere nessuno sembra sempre meno strano.
Andata sola andata, continua il nostro viaggio
per una vita buona che non sia solo un miraggio.
Siamo migranti, siamo migranti…
Siamo migranti, siamo migranti…
Siamo migranti, siamo migranti…
Siamo migranti, siamo migranti…
Siamo migranti, siamo migranti,
il passato alle spalle e l’orizzonte davanti.
Siamo migranti, siamo migranti,
tutti noi, tutti voi, tutti i politicanti.
Siamo migranti, siamo migranti,
i sogni di un popolo non vanno mai infranti.
Siamo migranti, siamo migranti.
LINK UTILI
Pagina Facebook: https://www.facebook.com/malalecheacoustic/
CanaleYouTube:https://www.youtube.com/channel/UC49swUogcWIEkm5KuP_8r9g
SoundCloud:https://soundcloud.com/lamalaleche