“Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti”
Dichiarazione universale dei diritti umani, articolo 5)
Restare appesi al soffitto per ore. Sentire i muscoli che si stirano, il corpo che vibra per le scariche elettriche, uno straccio bagnato in bocca che induce al soffocamento. La minaccia di un esecuzione, di uccidere i familiari. La minaccia dello stupro. La realtà dello stupro.
Si chiama tortura. Il suo obiettivo è annichilire, distruggere l’identità, spezzare, far firmare una confessione, rivelare nomi. Annientare. Lontano dagli occhi del mondo, senza un avvocato, un giudice che blocchi questo orrore.
È raro che la tortura uccida fisicamente. La tortura annulla come essere umano il torturato.
Universalmente bandita, universalmente praticata: nel suo ultimo Rapporto annuale, Amnesty International ha denunciato casi di tortura in oltre 100 paesi. In nome della sicurezza, della lotta al terrorismo o di altre presunte “buone” scuse, in ogni regione del mondo si continua a torturare con metodi che talvolta ricordano i supplizi descritti così efficacemente ne “La colonna infame” di Alessandro Manzoni, talaltra si giovano della tecnologia più moderna, così dettagliatamente descritta nei manuali d’interrogatorio del centro di detenzione di Guantánamo Bay. A volte non c’è neanche bisogno che il torturatore e il torturato si trovino nella stessa stanza: con un tasto, lasci accese luci accecanti al neon per giorni e giorni, impedendo il sonno; con un altro tasto, porti la temperatura nella cella a -10 gradi.
Trent’anni fa, Amnesty International ha portato alla luce la dimensione mondiale della tortura e ha ispirato l’adozione, da parte delle Nazioni Unite, di una convenzione che dice, nero su bianco, che la tortura è vietata. Sempre.
Ma sappiamo che non basta un trattato internazionale per fermare le violazioni dei diritti umani, non basta che i parlamenti lo ratifichino se poi le sue disposizioni non vengono attuate (come nel caso dell’Italia, che dopo un quarto di secolo ancora deve introdurre il reato di tortura nel codice penale) o vengono ignorate.
Dalla Convenzione adottata nel 1984 ripartiamo, allora, nel 2014 con la campagna Stop alla tortura, per chiedere a tutti gli stati d’introdurre garanzie contro la tortura: prevedere il reato di tortura nel codice penale; garantire che gli avvocati siano sempre presenti agli interrogatori e che personale medico indipendente sia sempre pronto a visitare i detenuti; processare e condannare i responsabili della tortura.
Il diritto a essere liberi dalla tortura e da altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani e degradanti è tra i diritti umani più saldamente protetti dal diritto internazionale. Affermato nella Dichiarazione universale dei diritti umani, ribadito in strumenti internazionali – come il Patto internazionale per i diritti civili e politici – e regionali, il divieto di tortura viene sancito in una Convenzione ad hoc nel 1984: la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti (Convenzione).
Il divieto di tortura è assoluto: questo significa che mai un pubblico ufficiale o una persona che agisca a titolo ufficiale può infliggere intenzionalmente dolore o sofferenze gravi a un’altra persona anche in situazioni di emergenza, quali una guerra, una catastrofe naturale o creata dall’uomo.
Nonostante l’obbligo per gli stati parte della Convenzione di considerare reato la tortura, indagare in modo approfondito e imparziale su qualsiasi denuncia e perseguire i responsabili, la tortura è ancora oggi molto diffusa; in alcuni di questi paesi è sistematica, in altri è un fenomeno isolato ed eccezionale.
PERCHÉ LA CAMPAGNA “STOP ALLA TORTURA”?
A 30 anni dalla storica adozione della Convenzione, i governi hanno tradito l’impegno a porre fine a questa pratica che comporta la perdita definitiva dell’umanità, che è il segnale di una crisi collettiva fatta di barbarie, fallimenti e paura.
In questi tre decenni, i governi spesso hanno vietato la tortura per legge ma l’hanno permessa nella pratica. Hanno pestato, frustato, soffocato, semiannegato, stuprato, privato del sonno nel buio delle carceri e nelle stanze degli interrogatori; hanno colpito presunti criminali comuni, persone sospettate di costituire una minaccia alla sicurezza nazionale, dissidenti, rivali politici per estorcere loro confessioni, per punirli, intimorirli, per privarli della loro dignità.
Tra il 2009 e il 2014, Amnesty International ha registrato torture e altri maltrattamenti in 141 paesi ma, dato il contesto di segretezza nel quale la tortura viene praticata, è probabile che il numero effettivo sia più alto. Nel 2014, 79 paesi hanno praticato la tortura.
Questa campagna, porta avanti un lavoro iniziato nel 1972 e che ha contribuito all’adozione, nel 1984, della Convenzione. Quest’anno, 30esimo anniversario della Convenzione, ci concentriamo su tutti i contesti di custodia statale di alcuni paesi in cui pensiamo di poter cambiare significativamente la situazione. In Italia lavoreremo per porre fine alla tortura in Messico, Uzbekistan e Marocco/Sahara Occidentale; a livello internazionale anche su Filippine e Nigeria.
La nostra campagna si rivolge anche all’Italia, affinché sia introdotto nel codice penale il reato di tortura e si colmi pertanto il ritardo di oltre 25 anni trascorsi dalla ratifica della Convezione contro la tortura.
Maggiori approfondimenti su: http://www.amnesty.it/stoptortura
Anche il trimestrale I Amnesty è dedicato alla campagna che l’organizzazione per i diritti umani lancia in tutto il mondo, per dire “STOP ALLA TORTURA”.
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