Il Rapporto annuale di Amnesty International 2011 documenta la situazione dei diritti umani in 157 paesi e territori nel 2010. Descrive un mondo in cui le persone sfidano l’oppressione, nonostante le molte misure repressive impiegate contro di loro. Il Rapporto dimostra che le comunità più colpite dalle violazioni sono la vera forza motrice della lotta per i diritti umani.
La loro determinazione e caparbietà hanno ispirato milioni di persone e reso difficile per gli stati ignorare la sempre più forte richiesta di un cambiamento, che sia finalmente sostanziale e irreversibile. Questo Rapporto è dedicato al loro coraggio.
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Amnesty International fu fondata nel 1961 con la chiara missione di creare un movimento di solidarietà internazionale per combattere l’ingiustizia in ogni angolo del pianeta. Cinquanta anni dopo, il mondo è cambiato enormemente. Tuttavia, oggi più che mai l’imperativo è quello di unire le forze per difendere i diritti umani.
La crescente richiesta di libertà e giustizia in Medio Oriente e nell’Africa del Nord e l’aumentata presenza dei social media offrono un’opportunità senza precedenti per un cambiamento favorevole ai diritti umani, ma questo cambiamento corre sul filo del rasoio. È quanto affermato da Amnesty International, durante la presentazione del Rapporto annuale 2011, alla vigilia del suo 50° anniversario.
“Cinquant’anni dopo che la candela di Amnesty International iniziò a fare luce sulla repressione, la rivoluzione dei diritti umani oggi è vicina a un cambiamento storico” – ha dichiarato Christine Weise, presidente della Sezione Italiana dell’organizzazione.
“La gente sfida la paura. Persone coraggiose, guidate soprattutto dai giovani, scendono in strada e prendono la parola nonostante le pallottole, le percosse, i gas lacrimogeni e i carri armati. Questo coraggio, insieme alle nuove tecnologie che aiutano le attiviste e gli attivisti ad aggirare e denunciare la soppressione della libertà di parola e la violenta repressione delle proteste pacifiche, sta dicendo ai governi repressivi che i loro giorni sono contati” – ha aggiunto Weise.
Continua: http://50.amnesty.it/rapportoannuale2011
INTRODUZIONE
L’uso delle nuove tecnologie nella sfida degli attivisti contro la repressione di Salil Shetty, Segretario generale di Amnesty International.
Il 2010 potrà essere senz’altro ricordato come un anno di svolta in cui attivisti e giornalisti hanno utilizzato nuove tecnologie per mettere il potere di fronte alla verità e, nel farlo, hanno promosso un maggior rispetto dei diritti umani. È stato anche l’anno in cui governi repressivi si sono trovati davanti alla concreta possibilità di avere ormai i giorni contati.
L’informazione è una fonte di potere, e per quanti sfidano gli abusi da parte degli stati e altre istituzioni, questo è un tempo esaltante. Sin dalla creazione di Amnesty International 50 anni fa, siamo stati testimoni e artefici di grandi cambiamenti simili nella lotta tra coloro che perpetrano gli abusi e tutte quelle persone che con coraggio e inventiva mettono in luce le loro malefatte. In quanto movimento creato per far confluire l’indignazione globale in azione in difesa degli oppressi, il nostro impegno è di sostenere quegli attivisti che immaginano un mondo in cui l’informazione sia veramente libera e in cui possano esercitare il diritto di esprimere pacificamente il loro dissenso, al di là del controllo delle autorità.
Continua: http://50.amnesty.it/rapportoannuale2011/introduzione
LA SITUAZIONE IN ITALIA
I diritti dei rom hanno continuato a essere violati e gli sgomberi forzati hanno contribuito a spingere sempre più nella povertà e nell’emarginazione le persone colpite. Commenti dispregiativi e discriminatori formulati da politici nei confronti di rom, migranti e persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender hanno alimentato un clima di crescente intolleranza. Ci sono state nuove violente aggressioni omofobe. I richiedenti asilo non hanno potuto accedere a procedure efficaci per ottenere protezione internazionale. Sono continuate le segnalazioni di maltrattamenti a opera di agenti delle forze di polizia o di sicurezza. Non sono cessate le preoccupazioni circa l’accuratezza delle indagini sui decessi in carcere e su presunti maltrattamenti. L’Italia ha rifiutato di introdurre il reato di tortura nella legislazione nazionale.